Ora Kamala Harris è in campo

La campagna elettorale americana più deprimente degli ultimi decenni è diventata, in poche ore, un affare imprevedibile: i Democratici hanno cambiato front runner a luglio inoltrato (forse mai visto in duecentocinquanta anni di democrazia statunitense) e improvvisamente abbiamo una nuova candidata e una nuova campagna elettorale. Con Kamala Harris (Democratica) candidata alla presidenza e J.D. Vance (Repubblicano) candidato alla vicepresidenza, una storia che sembrava interamente rivolta al passato è diventata l’inizio del futuro.

Nel giro di 48 ore Kamala Harris ha ricevuto sostegno verbale dalla maggioranza assoluta dei delegati del partito alla Convention democratica di Chicago di metà agosto, compresi i politici che teoricamente avrebbero potuto sfidarla, i leader del Congresso e tutte le correnti del partito, dalla sinistra al centro.

Ha raccolto la disponibilità di oltre trentamila nuovi volontari, ha fatto registrare un esercito di nuovi elettori nelle liste elettorali (in America non si è iscritti automaticamente come da noi) e ha parlato all’evento più affollato dell’intera campagna dei Democratici svoltosi quest’anno.

Soprattutto, ha rianimato la raccolta fondi raccogliendo quasi 30 milioni di dollari in due ore, 81 nella prima giornata da candidata, 126 in tre giorni: numeri da record, in un momento della campagna elettorale in cui un comitato che raccogliesse 100 milioni in un mese intero si leccherebbe e baffi.

Gli ultimi a esprimersi per Kamala Harris sono stati Barack e Michelle Obama, che da quando hanno lasciato la Casa Bianca tentano di comportarsi da figure super partes e già nel 2016 e nel 2020 annunciarono il loro sostegno a Clinton e Biden solo quando questi avevano ottenuto la maggioranza dei delegati.

Harris non è diventata in un giorno la candidata perfetta: è stata riconosciuta nel partito come di gran lunga l’opzione migliore fra quelle possibili, nell’attuale complicata situazione.

C’è un altro punto importante da fissare, sempre legato al funzionamento della politica statunitense. Durante una campagna presidenziale, i partiti orientano tutte le loro attività in funzione del sostegno alla persona candidata, che allo stesso tempo ha grande autonomia nel decidere scelte strategiche e politiche e nel dare di fatto la linea alla campagna. Oggi Kamala Harris è anche a capo del Partito Democratico.

In America i partiti sono diversi da come li vediamo noi in Italia: sono dei comitati elettorali che si mettono in moto ogni volta che si deve votare.

Quando iniziò come procuratrice in California, Harris era considerata una dalla “linea dura”: Kamala is a cop, (Kamala è un poliziotto) dicevano i suoi detrattori a sinistra, nonostante fosse una delle procuratrici più riformatrici del paese. Nel 2014 Kamala Harris scrisse un libro dal titolo Smart on Crime (Intelligente contro il crimine), descrivendo una strada alternativa sia alla forca proposta dai conservatori che alla tolleranza invocata dai progressisti.

Nei prossimi i giorni Kamala dovrà trovare una buona risposta a chi la accuserà di aver taciuto sulle condizioni di salute di Biden, tenterà di convincere Trump a confrontarsi in almeno un dibattito televisivo ed entro la prima settimana di agosto sceglierà il suo candidato vice.

Poi andrà a Chicago a raccontare la sua storia al partito e agli americani.

Insomma, ora la partita per il nuovo Presidente degli Stati Uniti è cominciata davvero!

Tiziano Conti

P.S. A Biden, per uscirne come un padre attento al destino dei propri figli, sarebbe stato sufficiente dire che non può garantire che sarà in massima salute per i prossimi quattro anni, cosa che è sotto gli occhi di tutti.

Foto Wikipedia: di Office of Senator Kamala Harris

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