Un padre e un figlio nella bufera della guerra

10a puntata 

di Giacomo Casadio

La guerra in Europa scoppia il 1° settembre 1939 con l’invasione della Polonia. L’Italia non partecipa al conflitto, ma intende prepararvisi rafforzando i suoi possedimenti nordafricani e proteggendoli dalla minaccia britannica.



La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, composta dalle camicie nere, di cui Luigi fa parte, viene mobilitata sul fronte libico.

L’indecisione italiana a partecipare al conflitto mondiale e la diffusa concezione difensivistica dello Stato Maggiore Generale portano al concentramento in Libia nel 1939 di un dispositivo militare di circa 200.000 uomini allo scopo di proteggere le conquiste coloniali. Gigetto viene spedito sull’altra sponda del Mediterraneo non a fare strade o aeroporti come operaio ma a difendere i territori imperiali.

Egli è dislocato a Martuba, una sperduta località nel deserto, circa 50 km a sud di Derna, in Cirenaica: un posto desolato, desertico, col sole sempre a picco e un caldo infernale. Vi sono cinque aeroporti con stormi italiani e tedeschi, tutti pronti al combattimento. 

La propaganda lavora molto bene coi soldati italiani convincendoli della potenza militare italo-germanica e Luigi sembra non rendersi conto della situazione reale. Infatti il 16 novembre 1939 scrive ai genitori:

“Miei carissimi approfitto dell’occasione di questo mio camerata che viene a casa in licenza per mandarvi a voi il mio orologio che oggi stesso mi si è rotto il vetro voi andrete dall’orefice lì da Mosè (il negozio nel lato Sud del Pavaglione è ancora esistente) a farlo riparare e pulire, ci manca soltanto il vetro e bisogna fare raddrizzare le lancette, e se cè bisogno di pulirlo fatelo pulire. In quanto a noi credo che veniamo a casa entro il mese di dicembre, non state in pensiero per me che io mi sento molto bene quà a Martuba e se non mi dovessero mandare a casa a me poco importa quando so che che voi state bene e non cè niente di interessante a casa; io sto molto bene e per sincerarvene non dovete fare altro che di domandarlo ad Emiliani Francesco il latore della presente che facciamo vita in comune sotto la stessa tenda, questa sera partono i licenziandi stanno passando i primi camion urlando come tanti matti per tutto l’accampamento è un vociare continuo questa notte non si può dormire dal fracasso, almeno si spicciassero ad andarsene così staremo più tranquilli anche noi. Scusate del mal scritto mi è dovuto scrivere in fretta perché il mio camerata sta per partire tanti saluti a tutti quelli di casa ed un particolare bacio affettuoso a voi dal vostro Gigetto.”

La prima esperienza militare di Gigetto è di breve durata anche se è costretto a rimanere in Libia qualche settimana in più perché le navi sono cariche di soldati e lui non viene estratto a sorte:

“Carissimi genitori vi debbo comunicare una notizia alquanto dispiacente anche per voi: sappiate che ieri dovevamo partire per l’Italia all’ultimo momento è arrivato un ordine che non c’erano troppi posti sufficienti sul piroscafo che doveva portarci a casa e così ne ha preso invece di 20 per compagnia ne ha preso soltanto la metà; il mio capitano per non creare nessun malcontento fra di noi ci ha radunati noi 20 e ci ha dato la notizia ed ha detto che per non saper niente aveva deciso di fare il sorteggio e così ha fatto; io che ero presente al sorteggio me ne sono dovuto andare mogio mogio sotto la mia tenda perché la fortuna non mi ha assistito.”

Ai primi del 1940 Gigetto riesce a tornare a casa, come attesta la foto scattata nel cortile di casa sua assieme ai genitori Celso e Santa Luigia. 


Sulle ali dell’esaltazione imperiale e nella convinzione credulona generata dal regime che la guerra sia un affare di pochi mesi Luigi decide di compiere un grande passo: il 6 febbraio 1940 sposa Bruna Fantucci, che non appare quasi mai nelle lettere precedenti, ma con la quale lui ha certamente stretto un rapporto più forte al ritorno dall’Etiopia. Hanno 28 anni lui e 29 lei. Bruna era nata a Forlì nel 1911. Continuò ad abitare a Lugo fino al 1989, quando fu accolta all’Ospizio Sassoli, gravemente sofferente del Morbo di Parkinson, per poi essere ricoverata all’Ospedale di Bagnacavallo dove morì il 3 aprile 1989.

Staranno insieme soltanto alcuni mesi perché il 10 giugno dello stesso anno l’Italia entra in guerra a fianco della Germania e Luigi viene richiamato in Africa, ritrovandosi ancora nel deserto libico, come soldato combattente volontario a difendere i “sacri confini dell’Impero”.

Il 12 giugno 1940 Luigi scrive ai genitori da Derna:

“Miei carissimi, oggi è il secondo giorno della nostra entrata in guerra; ieri mattina all’alba i bombardieri nemici sono venuti a bombardare una base aerea distante un 4 km da noi ma chi lo sà come che sia successo oltrechè dopo sono venuti altre due volte ma non hanno arrecato alcun danno nè agli uomini nè alle cose. Io credo benissimo che abbiano una gran paura, basta dire che noi ieri mattina eravamo adunati tutti in una massa ci sono passati quasi sopra al capo e non ci hanno visto malgrado fossero a bassa quota, questa mattina poi hanno attaccato Tobruk sede e centro bellico della Cirenaica, ma purtroppo (voleva dire “per fortuna”) anche lì non hanno arrecato troppo danno grazie alla nostra difesa antiaerea ed all’artiglieria da costa hanno dovuto alzarsi ad alta quota e lasciar cadere così il suo carico quasi alla carlona. Insomma come principio hanno avuto un inizio molto brutto il nostro nemico..”

La lettera continua con toni spavaldi:

“Noi ce la passiamo molto bene malgrado questo qui regna il totale buonumore e l’allegria, chissà come staranno i nostri fratelli in Italia? meglio o peggio di noi?

Qui da noi tolto quel poco di sacrificio dell’acqua il resto non si sta male adesso già non si sa si vive alla buonora vale a dire come l’uccello inseguito dal cacciatore ma per adesso ancora state pure tranquilli che non cè niente per noialtri perché quando sentiamo venire gli apparecchi corriamo in un riparo sicuro lì distante un 30 metri dal nostro accampamento, le mie impressioni di queste prime cannonate non è stata affatto grande, immaginavo sotto un altro punto di vista un bombardamento aereo credevo insomma che operassero più distruzione ed avessero più precisione di tiro.

In questo momento che scrivo si stanno alzando dal nostro campo apparecchi da caccia e da bombardamento che si avviano veloci e sicuri verso gli obiettivi da colpire ed io credo bene che non facciano come fanno gl’inglesi vale a dire che ritornino con le pive nel sacco perché i nostri avieri sono i migliori ed i più calmi che siano in Europa cosicchè quando si recano in un posto mantengono quella certa calma che occorre e così possono operare ed abbattere gli obbiettivi prestabiliti con precisione cronometrica e quindi fanno ritorno incolumi alle loro basi.

Mi raccomando non impressionatevi troppo di questo perché altrimenti non vi mando più a dire nulla; se vorrete vi terrò informati sempre dicendovi la verità ma se ciò vi dovesse dar fastidio non vi manderò a dire nulla capito?

Come vi trovate adesso voi a Lugo? Per ora per noi non c’è ancora nulla di preciso di spostamento, per ora stiamo qui in aspettativa e poi quando verrà il momento andremo dove i nostri comandi ci manderanno. Io credo però che per adesso non faremo nessuno spostamento perché devono i nostri apparecchi smantellare tutte le basi aeree e navali.”
La strategia dell’esercito italiano era sostanzialmente difensiva perché la Libia era stretta fra le colonie francesi ad Ovest e l’Egitto inglese ad Est.

Solo dopo l’occupazione tedesca della Francia e l’armistizio conseguente si liberarono spazi di azione italiana verso l’Egitto. La morte di Balbo, colpito e abbattuto per errore dall’artiglieria italiana mentre tornava in volo verso la Sicilia, portò Rodolfo Graziani al comando delle truppe formate da sei divisioni di fanteria e due divisioni di camicie nere, di cui Gigetto faceva parte.

Lo scontro frontale sarebbe durato fino alla primavera del 1943 e si sarebbe concluso con la sconfitta italo-tedesca e con il conseguente dominio alleato su tutto il Nord Africa, cancellando il progetto di occupazione dell’Egitto e del Canale di Suez.


Giacomo Casadio

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