Sono trascorsi cinquanta anni dai 200 metri di Smith e Carlos, ma anche del terzo uomo, l’australiano bianco Peter Norman.
Un articolo su Repubblica.it mi offre lo spunto per tornare a quel giorno (e a quell’anno), che è ancora così impresso nella mia memoria. Di quel 1968 che ci ricorda il Maggio francese, l’assassinio di Martin L. King e di Bob Kennedy, la primavera di Praga.
Tommie Smith vince la finale dei 200 metri davanti a Norman e Carlos. Nel ’67 Harry Edwards, sociologo a Berkeley, ha fondato l’Ophr, Olympic program for human rights. L’idea è che gli atleti neri portino il distintivo, una sorta di coccarda, ed ognuno è libero di manifestare la sua protesta come crede.
Smith e Carlos, accolti alla San José State University perché bravi atleti, a loro volta studenti di Sociologia, portano il distintivo e vogliono manifestare. Smith è del Texas, settimo di undici figli. Ha 24 anni. Suo padre raccoglie cotone. Norman è il più anziano, ha 26 anni, suo padre è macellaio, famiglia molto credente e vicina all’Esercito della salvezza. Carlos ha 23 anni, è figlio di un calzolaio, nato e cresciuto ad Harlem, New York. Nel sottopassaggio che va dagli spogliatoi al podio, Norman assiste ai preparativi dei due americani. Tutto è fortemente simbolico, dalla mancanza di scarpe (indica la povertà) alla collanina di piccole pietre che Carlos mette al collo (ogni pietra è un nero che si batteva per i diritti ed è stato linciato). Smith e Carlos spiegano. E Norman dice: “Datemi uno dei distintivi, sono solidale con voi. Si nasce tutti uguali e con gli stessi diritti”. Così anche Norman sistema la coccarda sulla sinistra della tuta.
C’è un problema, Carlos ha dimenticato i suoi guanti neri al villaggio, mentre Smith ha con sé quelli comprati da Denise, sua moglie. “Mettetevene uno tu e l’altro tu”, consiglia Norman. Così fanno. Smith alza il pugno destro e Carlos il sinistro. Vengono cacciati dal villaggio, Smith e Carlos. Uno camperà lavando auto, l’altro come scaricatore al porto di New York e come buttafuori ad Harlem. Sono come appestati. Solo molti anni dopo li riprenderanno alla San José, come insegnanti di educazione fisica. E nel 2005 Norman sarà con loro, per l’inaugurazione di un monumento che ricorda quel giorno in Messico. Norman in Australia viene cancellato. Il più grande sprinter australiano non è coinvolto neanche in Sydney 2000 né tantomeno invitato (col suo 20″06 avrebbe vinto l’oro nell’Olimpiade di quell’anno). Sofferente di cuore, muore il 3 ottobre 2006. Smith e Carlos vanno a reggere la bara, il 9 ottobre. La banda suona “Chariots of fire”, la bellissima musica di Vangelis, tratta dal film “Momenti di gloria”. Il 9 ottobre diventa, su iniziativa Usa, la giornata mondiale dell’atletica.
Non erano due neri e un bianco a chiedere rispetto e giustizia su quel podio, erano tre esseri umani. “Sono affari vostri”, poteva dire Norman, ma non lo disse e non si pentì mai, e gli altri due nemmeno.
Tiziano Conti